lunedì 18 maggio 2009

Dopo lo spettacolo “Il cammino della Stella” (gli Arcani Maggiori dei Tarocchi all’opera)– Bologna 17 Maggio 2009

Da oggi il sacro non ha più bisogno di ierofanti, di simulacri, di paludate estensioni del vero, poiché il propagarsi del suo eterno fervore accende il subbuglio interiore nel convibrare di granelli di autocoscienza, risvegliati dall’arcano richiamo del sempre, inscenato quest’oggi per noi dall’etereogenea ed appassionata banda di Barbara Elia.
Ed ecco sparire e riapparire, nello sconfinato gioco di luci e di ombre della vita, i nostri personaggi interiori, che emergono da porte aperte e poi richiuse, quasi a ribadire che ci sono tempi e modi, scadenze e scansioni nel ritmo fluido dell’esistenza, nel percorso che compiamo obbedendo a voci spesso non pienamente comprese ma che ci impongono, di volta in volta pietose o inflessibili, pause sbigottite o temerarie accelerazioni . Siamo noi che seguiamo loro o loro che seguono noi? Difficile a dirsi, poiché il tema itinerante sposta in continuazione il soggetto a complemento oggetto, e noi veniamo agiti tanto quanto agiamo – o meglio interagiamo le dinamiche che ci avvincono al nostro stesso travestimento.
E nella fantasmagorica rifrazione di un’unica Luce che si scinde in 22 splendidi colori si anima il panorama interiore generosamente irrorato da questi misteriosi emissari dell’Amore, ognuno carico di una sua missione, saturo di una sua magica energia, latore di un suo personalissimo messaggio: musicanti attoniti e scaltri vagabondi, enigmatiche sacerdotesse ed algide regine, straniti giocolieri e deliranti tentatrici, eteree sirene ed austeri legislatori…Ognuno e tutti alleati nell’inscenare instancabilmente il rapporto fra io e non-io, e il raffronto disperato/esasperato ma finalmente liberante fra le parti più grevi e quelle più nobili di noi stessi, qualificandosi di volta in volta come ritrosi oppure arditi ambasciatori di realtà che ci appartengono da sempre.
Ecco che veniamo condotti di fronte all’immenso specchio per confrontarci disagevolmente con le verità, le mezze verità e le bugie che ci diciamo, e per capire che il vero termine di paragone con noi stessi non è quel che appare o che vogliamo far apparire. C’è piuttosto da recuperare tutto l’iceberg sommerso dell’essenza più profonda di noi, che esibisce il pinnacolo superficiale come garrula bandiera e comoda vetrina di sé.
Ed ecco che così, finalmente, si ricompongono gli smarriti frammenti del sé, centrifugati nel vorticare di innumerevoli nebulose dalle antiche vite.
E si conclude un rito d’Amore che risuona di millenarie melodie, che sfolgora di luci baluginanti in un cielo lontano, di fuochi avvampanti nell’anima, e ci ritroviamo ad acclamare una fine che in verità è l’inizio del lungo cammino di ricongiungimento con la parte più vera di noi.

Simone Sutra